Silvio Pellico
1789 - 1854
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Le mie prigioni
1832
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Capo X.
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IN quella mia nuova stanza, così tetra e così immonda, privo della compagnia del caro muto, io era oppresso di tristezza. Stava molte ore alla finestra la quale metteva sopra una galleria, e al di là della galleria vedeasi l'estremità del cortile e la finestra della mia prima stanza. Chi erami succeduto colà? Io vi vedeva un uomo che molto passeggiava colla rapidità di chi è pieno d'agitazione. Due o tre giorni dappoi, vidi che gli avevano dato da scrivere, ed allora se ne stava tutto il dì al tavolino.Finalmente lo riconobbi. Egli usciva della sua stanza accompagnato dal custode: andava agli esami. Era Melchiorre Gioja!Mi si strinse il cuore. Anche tu, valentuomo, sei qui! – (Fu più fortunato di me. Dopo alcuni mesi di detenzione venne rimesso in libertà.)La vista di qualunque creatura buona mi consola, m'affeziona, mi fa pensare. Ah! pensare [31] ed amare sono un gran bene. Avrei dato la mia vita per salvar Gioja di carcere; eppure il vederlo mi sollevava.Dopo essere stato lungo tempo a guardarlo, a congetturare da' suoi moti se fosse tranquillo d'animo od inquieto, a far voti per lui, io mi sentiva maggior forza, maggiore abbondanza d'idee, maggior contento di me. Ciò vuol dire che lo spettacolo d'una creatura umana, alla quale s'abbia amore, basta a temprare la solitudine. M'avea dapprima recato questo benefizio un povero bambino muto, ed or me lo recava la lontana vista d'un uomo di gran merito.Forse qualche secondino gli disse dov'io era. Un mattino, aprendo la sua finestra, fece sventolare il fazzoletto in atto di saluto. Io gli risposi collo stesso segno. Oh quale piacere mi inondò l'anima in quel momento! Mi pareva che la distanza fosse sparita, che fossimo insieme. Il cuore mi balzava come ad un innamorato che rivede l'amata. Gesticolavamo senza capirci, e colla stessa premura, come se ci capissimo: o piuttosto ci capivamo realmente; que' gesti voleano dire tutto ciò che le nostre anime sentivano, e l'una non ignorava ciò che l'altra sentisse. [32]Qual conforto sembravanmi dover essere in avvenire que' saluti! E l'avvenire giunse, ma que' saluti non furono più replicati! Ogni volta ch'io rivedea Gioja alla finestra, io faceva sventolare il fazzoletto. Invano! I secondini mi dissero che gli era stato proibito d'eccitare i miei gesti o di rispondervi. Bensì guardavami egli spesso, ed io guardava lui, e così ci dicevamo ancora molte cose. |